Quando Stefano Delprete, direttore editoriale di Add di Torino, mi ha chiamato per propormi di dare una mano a Meo Sacchetti nella stesura della sua biografia, credevo fosse uno scherzo. E invece era vero. Non ho fatto molto, devo confessarlo: lui dettava e io scrivevo nelle lunghe mattinate trascorse ad Alghero. Il titolo dell’opera, bellissimo, “Il mio basket è di chi lo gioca” lo hanno scelto Stefano e Meo, sostituendolo al progetto iniziale che “Il mio basket è un’isola” con un chiaro riferimento alla Sardegna ma anche a quel microcosmo che è un campo di basket dentro il quale si è sviluppata l’incredibile vita di questo gigante del basket. Nato in Puglia nella baracca di un campo profughi da genitori rumeni di nascita, nato perché un fratellino chiamato come lui era morto di freddo e la mamma non aveva voluto darla vinta al destino affrontando un’altra gravidanza, orfano ben presto di padre, e poi l’emigrazione a Novara, la pallacanestro, i trionfi in maglia azzurra e poi ancora quell’incredibile scudetto con Sassari (e con il figlio Brian in campo) e adesso anche il prestigioso ruolo di ct della Nazionale. Una vita che non finisce mai. Soprattutto un messaggio fortissimo, per tutti, nello sport come nella vita: se vuoi, puoi.
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